Descrizione
Qualcuno potrebbe affermare: «Mi si rivolta lo stomaco anche solo al pensiero di leggere certe schifezze!», ma non è un caso che io, poc’anzi, abbia utilizzato il vezzeggiativo: pupù; infatti le descrizioni di C. non sono mai realistiche, bensì, giocano sempre sul filo dell’ironia, spaziando dalla perifrasi pubblicitaria («emanava un olezzo Duracell, che dura fino a tre volte di più del normale olezzo zinco-carbone») all’annotazione colta («la mia tavolozza fecale insisteva su quel terra rossa di Venezia tanto caro a Giorgione»).
Per avere un’idea dell’attenzione certosina che C. ha messo nei suoi resoconti, si pensi che l’aggettivo con cui descrive l’odore dell’estruso non è mai ripetuto. Può essere un aggettivo insolito (baritonale), del tutto incongruente (marcionitico), immaginifico («olezzo Frankenstein, del quale prima ti compiaci, ma che poi ti si rivolta contro, mettendo in pericolo la tua stessa vita»), ma non è mai lo stesso, perché Defecatio è un caleidoscopio di invenzioni letterarie volte a raggiungere un fine dichiarato: parlare per un anno dello stesso argomento, in maniera sempre diversa e interessante. Scopo raggiunto e largamente superato, mi permetto di affermare, dal momento che C., nei 365 “capitoli” della sua opera, ci intrattiene con argomenti che vanno dal giuoco del pallone alla metafisica, dai Vangeli apocrifi a Moana Pozzi, da Toro Seduto a Tristano e Isotta.
Certo, si potrebbe replicare che: «Questa non è arte, è solo un pot-pourri di elementi eterogenei», come dissero del mio Educazione sentimentale, ma quanti, dei cosiddetti “scrittori” contemporanei sarebbero capaci di fare altrettanto?
(dall’introduzione di G. Flaubert)
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