Il Grand Tour: un’esperienza unica

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“Tenete un diario di viaggio, ma non a discapito dell’esperienza diretta; conoscete gente del posto e fatevi guidare da loro; viaggiate con persone con cui andate d’accordo; visitate i panorami e le rarità della vostra destinazione, come i monumenti e le chiese; non dimenticatevi mai del vostro viaggio, ma nemmeno vantatevene una volta tornati a casa.” Questi erano i consigli di viaggio di Francis Bacon contenuti nel suo libro Of travel scritto nel 1625 dopo la sua esperienza del Gran Tour, un viaggio durato tre anni in Europa.
Dal XVII fino al XVIII secolo, il Grand Tour era diventato un’esperienza fondamentale soprattutto per i giovani nobili europei. Un viaggio che era considerato il processo formativo per eccellenza, una sorta di rito di passaggio dei giovani aristocratici.

Cos’era il Grand Tour

Il Grand Tour deve il suo nome alle parole di Richards Lessels che lo definisce per primo nel suo libro del 1670 Italian Voyage.
In pratica era un viaggio esperienziale e formativo che permetteva di migliorare le proprie conoscenze in molteplici campi: politica, arte, cultura, scienza, economia. Un viaggio che poteva durare da alcuni mesi a diversi anni e che toccava, nei suoi itinerari, diversi paesi europei.
Attraverso questo viaggio i giovani avevano modo di conoscere il mondo al di fuori dei loro stati, di conoscere culture diverse, di incontrare usi e stili di vita differenti. Di imparare dall’esperienza e di aprire la propria mente al nuovo.

Come si organizzava il Grand Tour

Il Grand Tour doveva essere programmato nei minimi particolari per questo serviva molto tempo per pianificarlo, addirittura diversi mesi. Si dovevano programmare gli itinerari, quali luoghi visitare, quali mezzi di trasporto usare, dove alloggiare, quali abiti portare e quante e quali persone della servitù sarebbero state indispensabili per il viaggio. Spesso i giovani erano accompagnati da mentori e tutor oppure assumevano guide e maestri direttamente nei luoghi dove sostavano per migliorare la loro educazione.

La permanenza nelle varie città era piuttosto lunga e permetteva ai viaggiatori di partecipare anche alla vita sociale: attività importante anche per consolidare i rapporti tra le famiglie prestigiose.

Per gli spostamenti di solito si sceglieva di noleggiare o acquistare sul posto una carrozza con un vetturino. In questo modo era assicurato anche il cambio dei cavalli, il vitto e l’alloggio e le fermate nei vari luoghi scelti per le soste. Chi non disponeva di troppi mezzi poteva scegliere di viaggiare invece prendendo le diligenze di posta.

Solitamente si sceglievano itinerari già percorsi e consigliati da altri viaggiatori, soprattutto perché in quei periodi viaggiare era abbastanza pericoloso e in certe zone era alta la presenza del brigantaggio. Così come venivano scelte le locande e gli alloggi consigliati nei diari di altri viaggiatori che ne definivano la qualità.

L’Italia come meta

Una delle mete più ambite e più frequentate nel Grand Tour era l’Italia. Ricca di monumenti, opere d’arte, siti archeologici, attirava anche per la musica, il teatro, una varia attività politica e un buon clima. Samuel Johnson scriveva: “Un uomo che non sia stato in Italia sarà sempre cosciente della propria inferiorità, per non aver visto quello che un uomo dovrebbe vedere”.

Conclusione

Il Grand Tour portò migliaia di turisti in Europa e divenne un valido mezzo per trasmettere la cultura. Questo viaggio non era solo desiderato dai giovani aristocratici ma anche da molti letterati e, anche se in numero molto inferiore, partirono per questa avventura anche ragazze di famiglie nobili e ricche.

 

Fonti:

Brilli Attilio, Quando viaggiare era un’arte. Il romanzo del Grand Tour, Bologna, Il Mulino, 1995.

Brilli Attilio, Il viaggio in Italia. Storia di una grande tradizione culturale dal XVI al XVII secolo, Milano, Silvana Editoriale, 1987.

 

 

 

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