“I Segreti dell’Eremo” di Alfonso Citterio: una storia di stanze e di sentieri

pubblicato in: I nostri Libri, Novità 0

“Buongiorno Tina. Credo che la stanchezza mi abbia fatto dormire troppo. Ho la sensazione di aver viaggiato in bicicletta tutta la notte alla ricerca di qualcosa o qualcuno che avevo perduto”.

“Mai così stanco come me caro Sam – aggiunse Will – che ho sognato in continuazione grattacieli che mi crollavano attorno e mi sentivo amareggiato come un architetto fallito”.

Lo spazio come liberazione e trappola, il tempo come speranza e fallimento contro cui lottare. Un fantasma condannato a un “esilio eterno” nel tempo e nello spazio, dopo una vita in cui gli splendidi palazzi signorili del ‘700 non hanno offerto più occasioni di felicità dei nascondigli offerti dall’intricata geografia di quel territorio. E infine una perfetta simmetria tra i personaggi, ciascuno dei quali, dopo un idillio iniziale, ha visto fallire i propri sogni d’amore e nascere un desiderio di rivincita. “I segreti dell’eremo”, quarto lavoro letterario di Alfonso Citterio, è tutto questo: una sovrapposizione sinuosa di tempo e spazio, per realizzare la quale l’autore sceglie una scrittura basata sull’incontro di generi letterari diversi (dal dramma storico e sentimentale alla biografia, fino alla fantasia sovrannaturale e mistica della seconda parte), su un uso assai penetrante del flashback e soprattutto su un senso molto “malickiano” dello spazio, dell’ambientazione. Viene infatti alla mente uno dei capolavori del regista texano, “The New World”, come possibile termine di paragone per un romanzo che sperimenta le varie reazioni psicologiche dei personaggi di fronte allo spazio fisico che li circonda.

Nel capolavoro del 2005 di Malick, in cui la giovane nativa Pocahontas sperimenta sulla sua pelle, fino ad ammalarsi e morirne il passaggio dalla comunione totale con la natura della sua giovinezza alle architetture geometriche e prime di vita delle corti britanniche; allo stesso modo la prima parte del romanzo ci ricorda che non sempre gli spazi più eleganti e luminosi (come quelli di un palazzo signorile, in questo caso Palazzo Malacrida, a Morbegno, in Valtellina) sono quelli che garantiscono la felicità interiore; al contrario, ispirano quel desiderio di libertà e ribellione che costerà la vita al giovane, impegnato sia nella lotta contro i Giacobini (nuovi padroni del territorio dopo la Rivoluzione francese) sia nella passione clandestina con la giovane Carlotta, destinata a sua volta morire di dolore dopo la scomparsa del giovane amato.

Passano due secoli, tante altre storie e vite accuratamente riportate nel romanzo, e ad esplorare le stesse stanze nelle quali Giacomino ha cercato invano di vivere sono due giovani anglosassoni, Tina e Will; ad accoglierli è Samuele, detto Sam, il custode di Palazzo Malacrida, rimasto completamente solo dopo la morte della moglie. I tre finiranno intrappolati nei sotterranei del palazzo e cercheranno a lungo l’uscita; tuttavia, in una brillante simmetria che come detto appare molto “malickiana”, questa lunga esplorazione di spazi angusti e decadenti, sommersi dall’acqua e invasi dai topi (ma forniti anche di grandi riserve di cibo) permetterà ai tre personaggi di esplorare più nel profondo le loro vite. Le identità stesse dei personaggi, dei vivi e dei morti, arrivano infatti a sovrapporsi e confondersi: ma per quanto vicini i vivi e i morti non possono diventare una cosa sola, ed è allora necessario che gli uni e gli altri facciano di necessità virtù e ricerchino la felicità nella propria dimensione – una felicità che si può trovare nel “qui”, più che nell’”ora”. Se per i morti non esiste più il tempo, e per i vivi il tempo è troppo poco, allora non si può che ricorrere all’esplorazione dello spazio fisico o immateriale, della dimensione in cui ci si trova.

Alla sinuosità della scrittura di Citterio, che sceglie uno stile ricco come detto di flashback perfettamente incastonati nella trama del romanzo, e insieme ricchi di idee e suggestioni emotive degne di un “mini romanzo”, si aggiunge un accurato lavoro di ricerca storica, capace di dimostrare, con una perfetta chiusura del cerchio, come il paesaggio della Valtellina – arioso, ma anche ricco di “intricatezze” geografiche ideali per nascondersi e isolarsi dal resto del mondo – sia lo specchio delle costruzioni che lo punteggiano, e viceversa. La serenità e la piena riuscita di un’esistenza, sembra suggerirci Citterio, non vengono dal tempo che si ha a disposizione per essere felici, ma dalla nostra capacità di avvertire una comunione emotiva e percettiva con le architetture umane e con la natura che ci circondano.

Di Stefano Aicardi

 

I segreti dell’Eremo

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